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Consumi energetici domestici

news_29.10.2014Nonostante la crisi e il successo delle detrazioni per l’efficienza energetica in edilizia, i consumi nazionali di elettricità e gas del settore domestico mostrano una sostanziale stabilità se non, per il gas, un lieve aumento negli ultimissimi anni (mentre crollano quelli dell’industria). Come si spiega questa tendenza? Eco dalle Città lo ha chiesto a Karl-Ludwig Schibel, coordinatore di Alleanza per il Clima Italia.
di Silvana Santo

Nonostante la crisi e i buoni risultati delle misure di incentivazione dell’efficienza energetica in edilizia, i consumi nazionali del settore domestico non mostrano una contrazione significativa. Anzi. Secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, relativi al 2012 e 2013, il fabbisogno italiano di gas nel comparto civile sarebbe sostanzialmente stabile (vedi Bilancio energetico nazionale 2013 provvisorio del MISE, con un calo di appena lo 0,7% rispetto al 2012) e addirittura in lieve aumento rispetto al 2011 (vedi elaborazione Staffetta Quotidiana su dati Snam), nonostante qualche picco negativo di richiesta legato a fattori meteorologici contingenti. Calano invece i consumi di petrolio e di combustibili solidi, ma cresce di molto quello di energia rinnovabile, per cui nel complesso – nonostante gli investimenti in efficienza – il fabbisogno totale non diminuisce, mentre i settori dell’industria e dell’agricoltura mostrano invece un netto calo dei consumi.

Quali sono le cause di questa tendenza apparentemente anomala? Eco dalle Città lo ha chiesto a Karl-Ludwig Schibel, coordinatore di Alleanza per il Clima Italia, sociologo ed esperto di temi ambientali ed energetici.

Gli interventi di efficientamento energetico sugli immobili e le buone pratiche che mirano al risparmio di energia non sembrano ancora incidere in modo decisivo sui consumi nazionali del settore domestico: condivide questa sensazione? Può darci qualche cifra?
In effetti, dopo il calo del decennio scorso, non abbiamo più assistito a una riduzione importante dei consumi termici del comparto domiciliare, ma semmai a un lieve aumento che interessa soprattutto il gas. E questo nonostante il successo di meccanismi come le detrazioni fiscali per le riqualificazioni energetiche in edilizia, che l’Enea fa benissimo a sottolineare. Per quanto riguarda le cifre, si tratta di valutazioni molto complesse, misure che contemplano diverse grandezze e che non sono semplici da effettuare. Non è come stimare la superficie di pannelli solari installati, che è invece un’operazione relativamente facile.

Ma come spiega questa mancata riduzione dei consumi, per giunta in tempo di crisi?
Direi che sono diversi i fattori determinanti. Prima di tutto c’è un problema strutturale. Il patrimonio edilizio italiano non è efficiente e in gran parte è datato: l’85-87% degli edifici che ancora esisteranno nel 2050 è già in piedi fin d’ora, giusto per dare un dato concreto. Gli interventi di efficientamento finanziati con le detrazioni, insieme alle nuove costruzioni che devono rispondere a requisiti di efficienza più stringenti, non riescono a compensare gli sprechi energetici del patrimonio edilizio complessivo. Oltre a questo, negli anni abbiamo assistito a un aumento della cubatura delle case per singolo inquilino, un altro aspetto che incide in modo importante sui consumi.

Cioè?
Spesso, nella stessa casa in cui qualche decennio fa vivevano fino a 10-15 persone, adesso ce ne abitano sì e no un paio. Sono aumentati i nuclei familiari ristretti e le abitazioni occupate da single. Questo fa sì che i consumi complessivi continuino ad aumentare, anche perché insieme alla composizione delle famiglie sono mutate le abitudini e le esigenze di confort degli italiani.

Nel senso che ci piace troppo stare al caldo?
Nel senso che, come penso sia normale, ci siamo abituati a standard più elevati di benessere. Prima venivano riscaldate, forse, soltanto le cucine. Adesso sarebbe impensabile. Io stesso vivo in un edificio in cui, a parte la cantina, tutti gli ambienti sono riscaldati. È un processo che vale anche per i trasporti: prima ci si accontentava magari di una sola auto per famiglia, che veniva usata con parsimonia. Adesso le esigenze sono diverse.

Quindi, in tempo di crisi, gli italiani tagliano su tante cose, ma non sul riscaldamento e sul raffrescamento…
Diciamo che su questo incide profondamente anche un fattore per così dire psicologico. Le persone, in un momento difficile come questo, hanno paura di investire in efficienza energetica, prima di tutto perché non se la sentono di aspettare sei o sette anni per vedere gli effetti del proprio investimento, e poi perché in fondo non si fidano delle stime di risparmio energetico ed economico che vengono loro comunicate insieme alle proposte di efficientamento. Alla fine, molti preferiscono pagare il 30% in più sulla bolletta, piuttosto che affrontare un investimento che non li convince e che richiederebbe diversi anni per dare i suoi frutti. E questo non perché manchino davvero i soldi, ma perché tutti, privati e istituzioni, hanno paura di investire. Si tratta di un atteggiamento psicologico diffuso anche tra le amministrazioni pubbliche, che considerano la spesa per l’energia come un fatto inevitabile e quasi immutabile, a cui doversi rassegnare, quando invece è un costo che si può ridurre, e di molto.

Siamo così poco lungimiranti?
Il punto è che intervenire sui consumi termici, che poi rappresentano in media il 60% dei consumi complessivi del settore domiciliare, richiede investimenti sostanziali, non è come sostituire una lampadina o un frigorifero più energivoro con un modello a risparmio energetico. Comunque, anche cambiare semplicemente i comportamenti in casa, facendo attenzione a evitare gli sprechi, permetterebbe di tagliare i consumi di un 10-15%.

Ma cosa si potrebbe fare per invertire la tendenza?
I governi italiani non hanno mai avuto davvero a cuore la questione dell’efficienza energetica, e quello attuale meno che mai. Il meccanismo della detrazione fiscale andrebbe affiancato da un lavoro capillare di sensibilizzazione indirizzato a tutti i numerosissimi attori coinvolti, specialmente in un paese come l’Italia dove molti inquilini sono anche i proprietari delle case in cui vivono. Invece continua ad esserci poca consapevolezza e una forte esitazione ad investire. Occorre un dettagliato programma nazionale che punti soprattutto al costruito esistente, perché anche se gli edifici nuovi sono rilevanti, è su quelli vecchi che va fatto il vero sforzo.

L’adozione di un target europeo vincolante in tema di efficienza energetica avrebbe il suo peso?
Assolutamente sì. Finora abbiamo avuto un obiettivo al 2020 che non era legalmente vincolante, e la recente proposta del Consiglio UE ripropone una situazione simile anche al 2030, con gli stati membri che si nascondono dando ogni responsabilità alla Polonia. Invece un target vincolante sarebbe un altro fattore importante, perché mentre ad esempio il progresso tecnologico nelle rinnovabili va avanti a prescindere, questo non è del tutto vero per l’efficienza energetica. Nei prossimi mesi potrebbe aiutarci la questione della sicurezza energetica, legata agli equilibri geopolitici mondiali che coinvolgono ad esempio Russia e Ucraina, oppure i paesi arabi. Per migliorare la sicurezza energetica dell’Europa, l’efficienza è un punto centrale, quindi speriamo che sia questo a trainare l’UE verso una nuova stagione. (Eco dalle Città)

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